Cronaca

Coronavirus Livorno, il racconto di infermiere e Oss: "Nessuno è stato lasciato solo, parlavamo con gli sguardi"

Il personale sanitario ha raccontato i mesi passati nei reparti Covid e di come sia stato vicino fino all'ultimo con chi non ce l'ha fatta: "I nostri cuori e le nostre mani sono sempre stati con i nostri pazienti"

Hanno combattuto fianco a fianco contro un nemico del quale non conoscevano nulla, ma non vogliono essere chiamate supereroine. Si sono "travestite da astronauti" indossando tute che impedivano di mostrare qualunque tipo di emozione, ma non per questo hanno fatto mancare il loro calore ai pazienti. Si sono fatte forza a vicenda, hanno pianto, gioito, affrontato momenti duri. Alcune hanno contratto il Coronavirus, altre non hanno potuto vedere i figli per oltre tre mesi.

Tuttavia non si sono mai arrese perché quando scegli di intraprendere un mestiere che ti porta a cercare di salvare vite umane non te lo puoi permettere. Infermiere e Oss sono state in prima linea per mesi nella lotta al Coronavirus e ieri, giovedì 30 luglio, in occasione della cerimonia in ricordo delle vittime del Covid-19 hanno voluto raccontare quanto passato. Accanto a loro, medici, ex pazienti, familiari e operatrici delle pulizie il cui compito, spesso messo in secondo piano, non è stato meno importante, anzi. È grazie al loro duro lavoro se il personale sanitario ha potuto lavorare in tutta sicurezza. 

Infermiere e Oss di Livorno raccontano il Coronavirus: "I nostri cuori e le nostre mani sono sempre stati con chi non ce l'ha fatta"

Imma Cerbone lavora come infermeriera nel reparto di rianimazione: "All'università non ci hanno insegnato 'pandemiologia' o come combattere una patologia sconosciuta. Abbiamo pensato solo a coprirci e proteggerci e a come poter affrontare la situazione. Dentro quella tuta ti manca il fiato, ma abbiamo comunque assistito tutti i pazienti. Sono stati giorni faticosi durante i quali abbiamo gioito per chi guariva e pianto per le vittime che sono venute a mancare con i loro cari costretti a casa. Tuttavia possiamo dire che queste persone non sono morte da sole, ma le nostre mani e i nostri cuori erano con loro". 

"I vostri familiari non sono mai stati soli"

Toccante anche il racconto di Genny Pachetti: "Il coraggio ci ha fatto muovere avanti e indietro nelle stanze, avevo paura e mi tremavano le mani. Sapevo che una volta tornata a casa non potevo abbracciare i miei cari per paura di contgiarli. Tuttavia la forza e il supporto che si siamo dati a vicenda ci ha fatto superare tutto questo. È stato bello vedere il sostegno della gente anche se ci rendeva tristi sapere che chi non ce la faceva non poteva avere i familiari accanto. Ci eravamo solo noi in quelle grandi tute bianche che permettevano solo di far vedere i nostri occhi carichi di amore. Abbiamo sentito la paura e condiviso la speranza e per questo ai familiari delle vittime voglio dire che i vostri cari non sono mai stati soli". 

"Abbiamo accompagnato con dignità chi non ce l'ha fatta"

Amelia Coppola, infermiera, parla dell'importanza dei tablet usati per far comunicare pazienti e famiglia: "Sono venute a mancare quelle interazioni che sono alla base per chi è ricoverato. Questi dispositivi hanno accorciato le distanze e portato una vera e propria rivoluzione emotiva. Sono stata testimone di grandi sorrisi di incoraggiamento anche se, in verità, nascondevano una grande paura. Ai parenti voglio dire che ci siamo sempre impegnati per riuscire a strappare una risata a tutti e abbiamo accompagnato con dignità fino all'ultimo chi non ce l'ha fatta". 

"Isolare i pazienti dalle loro famiglie non è stato facile"

Laura Crestani è stata al contempo sia infermiera che paziente: "L'aspetto psicologico era il più difficile. Sentire ogni giorno quei bollettini non ci ha rassicurato, ma siamo andati avanti nonostante avessimo la paura di essere noi stessi portatori del virus. Isolare i pazienti dalle loro famiglie non è stato facile e il senso di frustrazione che ci pervadeva quando qualcuno non ce la faceva è stato inimmaginabile. Quando poi ho contratto il virus ho subito pensato ai miei cari e devo spendere un grazie per tutti i colleghi che mi hanno supportato in questo percorso facendomi superare momenti di ansia e sconforto"

"Provo rabbia per chi pensa che sia un complotto e che le persone non finiscono in terapia intensiva"

La situazione di Laura l'ha vissuta anche Nancy Berretta, Operatrice socio sanitaria: "Ero in ferie quando è iniziata l'emergenza e non ci ho pensato un attimo a tornare per combattere la pandemia. Ho passato notte insonni fatte di pianti, ma a lavoro ho sempre cercato di dare manforte ai ricoverati che non potevano stare con le proprie famiglie. Poi anche io sono diventata una pazienta e a 36 anni mi sono vista attaccata a un respiratore temendo per la mia vita e di aver contagiato i miei cari. Ho avuto paura, ma i miei colleghi mi hanno assistita senza mai lasciarmi sola. Provo rabbia per chi dice che si tratta di un complotto e che la gente non finisce in terapia intensiva". 

"Questo virus ha tentato di isolarci"

Parole interrotte dalle lacrime per Rossella Tofani, medico di Rianimazione: "Il nostro sguardo era l'unica cosa che potevamo dare a chi era ricoverato. Durante la mia lunga carriera ne ho viste di persone morire, ma questo virus ci ha messo a dura prova perché ha tentato di isolarci. Insieme ai miei colleghi abbiamo gioito e pianto, ma non ci siamo mai arresi". 


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